1° agosto 2017 / Tempo perso
- evaromoli
- 3 mar
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 17 mar

Chiudere la porta a chiave e fare le scale. Due piani.
Attraversare il cortile, aprire il portone e sentirlo chiudersi sbattendo dietro di me.
Correre fino al semaforo, aspettare il verde e attraversare, camminare un pezzo di marciapiede e fermarsi ad aspettare il 30 express. Salire e timbrare il biglietto, cercare un posto a sedere e poi restare in piedi fino a Largo Argentina.
Attraversare di nuovo al semaforo. Controllare il biglietto e aspettare il tram dall’altra parte. Mi cade la penna Lamy verde sui binari. Si rompe il cappuccio e la rimetto dentro così. Si macchia la borsa. Salire sul tram e cercare un altro posto per sedermi e rimanere in piedi ancora. Attraversare il ponte, guardare il Tevere sotto sempre uguale a se stesso, marrone e fermo, annoiarsi su Viale Trastevere, aspettando di arrivare alla fermata. Arrovellarsi il cervello nel terrore di fare tardi. Ma tardi davvero.
Scendere e controllare la borsa. Aspettare ad un altro semaforo. Attraversare di nuovo.
Fare un pezzo di strada poi un’altra poi un’altra ancora, costeggiando i muri che separano il marciapiede dal giardino.
Girare a destra e camminare ancora.
Entrare sotto l’arco, fare un pezzo di giardino triste, arrivare all’atrio, fare due piani a piedi, entrare dalla porta a vetri, poi a sinistra nella porta ormai grigia, sul linoleum con i sandali, senza fare rumore, sempre diritto.
Terza porta a destra.
Tutto il tempo perso per arrivare da te quel 6 luglio. L’ultima volta che ti ho chiamato per nome «Papà», l’ultima volta che l’ho detto e l’ultima che mi hai salutato.
Ma abbiamo riso io e te, come sempre delle cose più stupide, il piccione fuori, il supplì avanzato, il giornale accartocciato, il bastone nell’angolo, le ciabatte sotto il letto nascoste.
È stato come vivere normalmente.
Solo in un altro posto.
E di noi ricordo il sorriso.
Il nostro ultimo regalo.
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